Le proteste del ’68 sono state il primo vero evento della globalizzazione moderna
New York, 23 aprile 1968. Migliaia di studenti occupano la Columbia University, dando vita ad accesi scontri con la polizia. La contestazione studentesca esplode, essenzialmente, per esprimere forte dissenso verso la guerra in Vietnam, dove quotidianamente dei giovanissimi militari americani morivano come mosche. Ma sono anche i giorni in cui proliferano i movimenti per i diritti civili.

Si  intensificano, così, iniziative di vario genere, soprattutto dopo l’omicidio, avvenuto il 4 aprile, di Martin Luther King. Nasce cosi il “Students for a Democratic Society” e, insieme a esso, prende corpo la ponderosa protesta studentesca del 1968. In Europa la scintilla era già scoccata il 22 marzo, in Francia, con l’occupazione del campus universitario di Nanterre. In pochi giorni, come un fiume in piena, il malcontento studentesco si allarga a macchia d’olio. Impossibile frenarlo. In Gran Bretagna viene occupata la Cambridge University insieme ai  collage più prestigiosi, fra i quali l’ Hornsey ed il Royal of Art’s di Londra.

In Italia, invece, già nel gennaio 1966 vi era stata la prima occupazione: quella  della facoltà di sociologia di Trento. È la stessa dove nel 1967 Renato Curcio e Mauro Rostagno lanceranno il progetto dell’ “Università Critica”, fondata su un’idea di drastica opposizione al sistema accademico vigente.

Tra la fine del 1967 e gli inizi del 1968 le agitazioni del movimento studentesco si fecero sempre più forti ed incisive, un evento che prese alla sprovvista i dirigenti dei  partiti politici tradizionali, Pci ed Msi in testa, dato che la pesante contrapposizione al sistema politico e sociale spinse le giovani generazioni verso una profonda radicalizzazione delle proprie idee, verso l’estrema destra e l’estrema sinistra. La situazione divenne ancora più incandescente quando alla vastità delle occupazioni si coniugarono gli scioperi nelle fabbriche, sempre più frequenti.

E fu in quel periodo che i gruppi extra-parlamentari raggiunsero l’obiettivo  di porsi alla guida di questa fase di profonda contestazione del sistema. Meno appesantiti dalle strutture burocratiche dei partiti, si rivelarono più sensibili alle rivendicazioni del mondo giovanile. Soprattutto il Pci, che inizialmente si era mantenuto su una posizione di osservazione e di attesa, iniziò ad avere seri problemi dopo che alcuni gruppi come “Potere Operaio”, “Lotta Continua” e “Il Manifesto”, riuscirono a imporre alle masse in agitazione posizioni nettamente contrarie alla politica intrapresa dai dirigenti comunisti dell’epoca. Erano quelli gli anni in cui il Pci avrebbe avuto bisogno di un clima del tutto diverso, privo di tensioni esasperate, impegnato come era in un processo di piena istituzionalizzazione del partito.

Un processo che non poteva non essere indolore, dato che sin dal lontano 1921, anno della sua fondazione, a Livorno, il partito aveva conservato le proprie radici ideologiche, basate sul marxismo-leninismo rivoluzionario. Anche a destra il Movimento Sociale Italiano, allora guidato da Arturo Michelini,  ebbe non pochi problemi. Il primo marzo 1968 a Valle Giulia, a Roma, oltre 4.000 studenti avevano cercato di rioccupare la facoltà di architettura, già precedente sgomberata a fine febbraio. Tra di loro vi erano anche  frange di estrema destra. Il più corposo era quello di Avanguardia Nazionale Giovanile, capeggiato  da Stefano delle Chiaie. La loro presenza a Valle Giulia provocò non poco imbarazzo nell’Msi, tanto che Michelini stesso, dopo aver condannato le proteste, affermò che se qualcuno aveva dei “dubbi a proposito” non aveva capito nulla di “cosa significa militare nell’Msi”.

Chi decise di occupare la Columbia University, esattamente 53 anni fa, pose quindi le mani in un braciere acceso, già da tempo, in tutta Europa. E le immense manifestazioni di protesta studentesche non solo provocarono un radicale mutamento di tutti gli assetti socio-culturali dell’epoca. Quelle proteste, che in breve tempo diventarono globali, hanno forse rappresentato il primo vero evento della globalizzazione moderna. Lo storico e sociologo Marco Revelli, su questo punto, è chiarissimo: “Il Sessantotto è stato il primo esplicito anticipo della globalizzazione”.  

Nicola Lofoco da Huffpost.it