Ritratto di Aldo Moro e del suo compromesso, a 42 anni dalla sua morte

Esattamente 42 anni fa, il 9 maggio 1978, l’onorevole Aldo Moro veniva ucciso dalle Brigate Rosse. In tutti questi anni il ricordo della sua morte ha fornito largo spazio a dibattiti, convegni e discussioni di carattere storico ad ampio raggio. Uno dei punti salienti dell’ intera carriera politica dello statista salentino è stato , innegabilmente, l’ accurata tessitura del “Compromesso storico” con il Pci di Enrico Berlinguer.

L’esigenza di cercare delle convergenze parallele tra i due maggiori partiti politici italiani di massa, che nel dopoguerra si erano caparbiamente contrapposti nel rispetto dei canoni dettati dalla guerra fredda, divenne di imprescindibile importanza negli anni’70, periodo in cui era necessaria una loro proficua collaborazione per affrontare la pericolosa crisi economica, politica e sociale a cui il paese stava andando incontro. Un primo passo verso una possibile cooperazione tra Dc e Pci avviene dopo le elezioni politiche del 1976, con i democristiani che raggiungono il 38, 71% dei consensi e con i comunisti che si attestano al 34,37%. Un dato di sostanziale equilibrio, tanto che lo stesso Aldo Moro afferma pubblicamente che, alla tornata elettorale, “Ci sono stati due vincitori”.

Nasce cosi, il 30 luglio 1976, il terzo governo guidato da Giulio Andreotti, grazie anche all’astensione del Pci durante la procedura del voto di fiducia al Senato ed alla Camera. E’ l’inizio della “non sfiducia” del Pci verso la Dc, che segna un radicale mutamento all’interno degli equilibri istituzionali italiani. I comunisti, quindi, dopo i tempi lontani del C.L.N., tornavano a far parte dell’ orbita governativa dell’ Italia, seppure indirettamente.

Un riavvicinamento politico di considerevole entità, che vedeva in Moro e Berlinguer i suoi più grandi artefici. Un accordo sicuramente non facile, dato che Moro stesso impiegò diversi anni per farlo digerire agli alleati dell’ Alleanza Atlantica. Dopo la morte del presidente della Dc quel progetto naufragò inesorabilmente, nonostante il Pci avesse già scelto da tempo la linea dell’ “Eurocomunismo”, discostandosi da Mosca e facendo pubbliche dichiarazioni in favore dell’ alleanza con gli Stati Uniti. Su cosa indusse davvero entrambi i leader ad inaugurare quella nuova stagione politica, che prometteva bene e finì invece male, è, ancora oggi, oggetto di studio e di attenzione da parte degli storici. Certamente ebbe notevole peso la consapevolezza, presente sia in Moro quanto in Berlinguer, che la guerra fredda fosse vicina  ai titoli di coda. Già nel 1974, vi era stato un passaggio essenziale  del “disgelo “ tra Usa ed Urss, con il viaggio a Mosca del presidente americano Richard Nixon per la firma, insieme al presidente sovietico Leonid Breznev, del secondo trattato S.A.L.T., indirizzato verso la riduzione delle armi strategiche e nucleari.

Ma, ulteriormente, per comprendere sino in fondo la tattica morotea, è obbligatorio ripartire dall’ XI congresso della DC, tenutosi a Roma tra il 27 ed il 30 giugno 1969 quando Moro, distanziandosi dalla corrente dorotea di Giulio Andreotti, Flaminio Piccoli ed Emilio Colombo, inaugura la strategia “ dell’ attenzione e dell’ ascolto”. Nel suo discorso, infatti, veniva precisato che era tassativo porre le basi per un “più ampio dialogo in vista di una nuova e qualificata maggioranza”. Lo statista democristiano aveva ben compreso come, in quel preciso momento cruciale, vi fosse l’urgenza di un dialogo aperto e costruttivo fra tutti i partiti del cosiddetto “arco costituzionale”, in quanto il sistema politico era in palese ed abissale difficoltà. Le oceaniche manifestazioni di protesta studentesche inaugurate nel 1968 rappresentavano un pesante campanello d’allarme per tutti i partiti politici.

Le giovani generazioni del ’68 chiedevano riforme sociali, nuovi diritti ed un radicale cambiamento della società, tutte richieste alle quali il panorama politico, ancora inquadrato nelle vecchie logiche del secondo dopoguerra, non era in grado di dare risposte. Ed anche il Pci, che sino a quel momento era rimasto all’ opposizione,  era in profonda crisi identitaria. Dopo la “Primavera di Praga” del 1968, con i carri armati sovietici che invadevano la capitale cecoslovacca, il Pci aveva ben compreso che l’ Unione Sovietica non poteva più rappresentare il proprio modello politico-culturale di riferimento, in quanto negava i valori fondamentali della libertà e della democrazia.

Quegli stessi valori che, in Italia, il Pci si era invece impegnato a rispettare sin dagli albori della Repubblica Italiana. Proprio nel 1969, il movimento studentesco si ossiderà con il mondo sindacale ed operaio e con le loro rivendicazioni, dando vita a quell’ “autunno caldo” che segnerà una delle punte più alte della contestazione al sistema politico italiano. Nel biennio ’68-69 vi fu, quindi, un’ indubbia crisi della rappresentanza in Italia, la stessa crisi che condurrà la nazione, per tutti gli anni ’70, nel baratro del peggior conflitto sociale della storia repubblicana. Aldo Moro è stato anche questo: il protagonista di un’ operazione politica complicatissima, delicata, svolta anche nel tentativo di rinnovare il modo di fare politica e la sua concezione.

Nicola Lofoco ( da Huffpost.it)